Globalità e lingua
DOVE VA L'ITALIANO?
Rischî e speranze di un idioma


  Solo qualche anno fa sarebbe stato a pannaggio di qualche pazzo sognatore, ora invece quella che, secondo alcune fonti, starebbe vivendo l'italiano è un'autentica nuova e da molti insperata primavera.
  Relegata sino a qualche anno fa al lumicino quale lingua d'accademia e per buongustaî, con gli anni '90, la lingua italiana assume gradualmente nuovi contorni in cui collocarsi. Non più dunque solo lingua del bel canto e del buon mangiare, ma, come ebbesi a dire da qualche parte, anche lingua di preti e di calciatori. Già, perché, o in tonaca sotto l'egida del Vaticano, o in maglietta e pantaloncini, Roma (nel primo caso) o l'Italia in generale sono pressoché d'obbligo per chi vuole far carriera.
  Sarebbe infatti un po' difficile pensare di rimanere in un paese dovendo comunicare quotidianamente con la realtà locale senza conoscerne la lingua. Certo, in Italia vi sono anche importanti sedi ed uffici di organizzazioni internazionali i cui addetti non sono per lo più destinati a lunghe permanenze, comunicano per lo più tra loro in una lingua occidentale, soprattutto in inglese, indotti dall'intensa attività d'ufficio a scarse occasioni di relazione con l'ambiente circostante, e perciò scarsamente motivati a conoscerne la lingua. Si tratta di realtà quali, per esempio, la FAO a Roma, l'uficio torinese dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, mentre Trieste ospita diverse istituzioni scientifiche internazionali.
  Ciò non può dirsi invece per i calciatori, a stretto contatto con il pubblico degli stadî e con l'informazione, in un ambiente tutt'altro che da Nazioni Unite o da "meeting" per "manager" di multinazionali. Se poi parliamo dei religiosi, chiamati dalla propria stessa missione a comunicare con tutti, addetti ai lavori o no, allora è presto detto.
  Ecco dunque l'italiano, che, tra un "Pace e bene", una partita e una mangiata, si parla sempre più a 360 gradi, col dotto professore o con il piccolo e medio imprenditore.
Ed è proprio grazie alle migliaia di imprenditori italiani all'Est che, per esempio, nella Romania occidentale è stata resa necessaria l'aggiunta dell'italiano presso alcune sezioni di istituti scolastici locali, il tutto mentre un vero e proprio liceo italiano funziona a Kiscinau, in Moldavia, e quello di Praga esiste da più di dieci anni.
  Classi bilingui sono state egualmente istituite nelle scuole primarie tedesche delle aree a maggiore presenza di emigrati italiani, mentre in Inghilterra, specie al Nord, i corsi di italiano per autodidatti circolano in quantità ragguardevole, e nel lussuoso quartiere londinese di Chelsey, noto per la locale squadra di calcio riportata anni addietro in auge da capitale, allenatore e calciatori italiani, "baby sitters" dal "Bel Paese" sono largamente preferite dalle famiglie bene, convinte dell'opportunità di far acquisire ai proprî pargoli le prime nozioni dell'"idioma gentil, sonante e puro".
Del resto, che quella di Dante non sarebbe affatto una lingua in regresso era emerso giá nel 1998 da un'indagine del CNEL, il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, in collaborazione con la Società Dante Alighieri, che, sin dalla sua fondazione nel 1889, ha il compito di promuovere la diffusione della lingua e della cultura italiane nel mondo. Smentendo le più fosche previsioni che solo qualche anno prima, volevano la lingua del "Sommo Poeta" sempre più ai margini dell'arena mondiale, ecco prospettarsi invece per essa una nuova e stimolante stagione, grazie a non trascurabili possibilità di espansione dei suoi valori culturali, specialmente in quell'Europa dell'Est che, dopo l'89, torna gradualmente a guardare all’Italia in virtù di una naturale tendenza a porre in simbiosi la Penisola con quel settore del Vecchio Continente, prima che con quello occidentale. Le nuove frontiere della telecomunicazione, dalla TV via satellite alla telematica, starebbero poi agendo da fattore ricoagulante tra i più o meno sessanta milioni di Italiani e soprattutto di oriundi italiani sparsi nei cinque continenti, con indubbio beneficio anche per la lingua, come lo dimostrano i recenti sviluppi a cominciare dal Sud-America. E se la cautela e d’obbligo dinanzi a chi vuole per l’italiano il ruolo di lingua franca del Mediterraneo, nulla ne vieta l'auspicio, purché esso sia il reale segno di una rinnovata attenzione verso un potenziale patrimonio linguistico e culturale il cui peso nel mondo non potrà che giovare e motivare le stesse istituzioni italiane ad operare meglio, in un paese più sicuro di se stesso, libero da un perenne complesso di inferiorità e di colpa, che ha fatto la storia di questi ultimi cinquant’anni di vita italiana. (G.L. Ugo)


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